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Il Blog di Lella Canepa

Immagine del redattorelellacanepa

ACCIUGHE SOTTO SALE


"Le acciughe fanno il pallone

che sotto c'è l'alalunga

se non butti la rete

non te ne lascia una..."

- F.De Andrè -

Avevo circa 15 anni quando la pescivendola del quartiere, di cui non ricordo il nome, quella che stava in piazza con il carretto a due ruote, solo le mattine che suo marito pescava qualcosa, e solo quel qualcosa vendeva, mi insegnò a fare le acciughe sotto sale. Così le faccio ancora.

Oltre a questo, di lei ricordo solo i suoi due gatti siamesi che vivevano a pesce fresco, le incommensurabili mangiate di mostelle fritte che potevamo fare le sere d'estate, grazie a suo marito che le pescava e lei che ce le faceva trovare pulite... e che non ho mai più mangiato...

Dopo, negli anni, ho scoperto che in Liguria le Acciughe passano dalla notte di San Pietro in poi, nella zona di mare davanti a Monterosso nella loro forma e misura migliore per essere pescate e messe sotto sale.

Si dice pure che il mare delle Cinque Terre abbia la giusta salinità per renderle dolci, e sode e saporite al punto giusto, con un particolare gusto di mare.

dimostrazione pesca alla lampara nella Baia del Silenzio - Sestri Levante -

La pesca avviene di notte, con il metodo "alla lampara", in pratica una potente luce posizionata sulla barca, illumina la superficie dell'acqua attirando il pesce.

In realtà le acciughe vengono pescate e salate in tutta la Liguria da quando entrate dallo Stretto di Gibilterra e passate dalle coste francesi, arrivano all'inizio dell'estate qui.

L' Acciuga o alice, (è la stessa cosa), è un pesce povero, di costo contenuto, uno dei più pescati, anche se in questi ultimi anni si è ridotto molto il quantitativo che si riesce a pescare .

È un pesce facente parte del cosiddetto "pesce azzurro", quell'insieme di qualità di pesci che hanno in comune diverse proprietà utili alla salute umana.

Ricco di omega 3, di vitamine del gruppo B e E, di selenio, fosforo, ferro e calcio, da consumare almeno due volte alla settimana.

Dedicherò un altro post alle varie ricette liguri che mi piace fare con questo pesce, in questi giorni vorrei concentrarmi sulla salatura.

È assolutamente adesso, tra giugno e luglio, in queste zone, il momento giusto per la salatura casalinga delle acciughe, quando la temperatura giusta permette loro di "maturare" adeguatamente.

Al sud dove le temperature sono più alte, la salatura avviene verso settembre.

Ne prendo più o meno una cassetta, tenendo presente che in una arbanella classica ce ne stanno dai due chili e mezzo ai tre, sempre da un pescatore di fiducia, appena raggiungono la misura, che non deve essere sotto i 12 cm, di quelle come si dice qua, "che son da salare quando di 50 ci fai un chilo",

Arrivata a casa, provvedo innanzi tutto a pulirle in un modo diverso da quando le pulisco per cucinarle.

Cioè mettendo l'unghia del pollice vicino all'osso della mascella, stacco la testa con un movimento verso il basso che mi permette di eviscerarla e nel contempo lasciare l'osso, o meglio la cartilagine della gola, così che l'acciuga resti intera.

Mano a mano le butto in un contenitore messo in posizione obliqua, con un po' di sale, in modo che il sangue esca per bene e le lascio cosi per almeno otto ore, senza paura, in quanto il sale le protegge dalle mosche e non devono nemmeno essere messe al fresco, anzi.

dopo otto ore

Passato questo tempo prendo le arbanelle di vetro classiche da salatura pulite e asciutte e inizio spargendo un po' di sale sul fondo.

Il sale deve essere rigorosamente marino integrale.

Comincio con il primo strato di pesci, una alla volta testa contro coda, pancia contro schiena, ben sistemate, premendole, uno strato di sale e un'altro di acciughe incrociando gli strati fino a riempire, alternando acciughe e sale.

Riempita all'orlo, copro con la tradizionale

ciappetta rotonda di ardesia,

di una misura appena più piccola dell'imboccatura, e sopra sistemo una bella pietra o spesso il mortaio del pesto, per un peso che sarebbe meglio fosse tra i cinque e i sei chili, per un'arbanella da tre chili di pesce.


Dopo all'incirca quattro giorni controllo la quantità di salamoia che si è formata con il residuo di sangue e acqua che avevano le acciughe e tolgo il peso sostituendolo con uno più leggero, meno della metà.

Tanti pescatori usano un bottiglione pieno di sabbia, a me è caduto una volta e ho combinato un disastro.

Non devono stare al fresco, anzi il segreto per farle maturare bene, è la temperatura giusta, intorno ai 25°, più o meno.

C'è chi ha la teoria di togliere quel residuo di sangue che si è formato, pulire bene e rimboccare con salamoia nuova pulita, fredda, preparata con 300 gr di sale sciolto a caldo in un litro di acqua. Sono sincera, a volte lo faccio a volte no.

Certamente controllo via via che passano i giorni lo stato del tutto, pulendo e aggiungendo salamoia nuova se serve e non assaggio prima della metà di settembre, contando 50 giorni da quando le ho messe via.

Mi sono sempre venute buone, sempre durate anche due anni.

Questo è il metodo di qui, se ci si sposta verso la Francia , per esempio, le salano senza pulirle delle interiora, e via via ogni paese ha il suo modo.

Infiniti gli usi che se ne possono fare.

Di solito le sbatto dal sale, le lavo in vino bianco da battaglia, le apro, le dilisco, e le metto in un piatto coperte d'olio, con poco aglio, origano e una goccia di aceto balsamico, come antipasto.

Con poche acciughe salate, pulite e diliscate, sciolte in olio in padella, con uno spicchio d'aglio, si prepara una salsina con la quale condire degli spaghetti.

Nella cucina ligure si aggiunge un'acciuga salata un po' dovunque per insaporire, quasi come i funghi.

Nel san crau, l'originale nome dato in Liguria al cavolo verza stufato, pietanza che forse voleva somigliare ai crauti e che molti fanno con la salsiccia.

Per quanto mi riguarda invece, al cavolo cappuccio o verza, stufato in olio e uno spicchio d'aglio, spruzzato d' aceto verso, la fine della cottura ho sempre aggiunto un poco di olio dove a caldo aveva fatto sciogliere un'acciuga salata diliscata.

In tanti altri intingoli che accompagnano tante altre pietanze, non solo di pesce come lo stoccafisso accomodato, ma anche nel coniglio alla ligure o nella carne alla pizzaiola, sopra la pizza, nella salsina del vitello tonnato, nella salsa verde, (qui>>>) dove è immancabile nell'elenco dei dieci ingredienti che la compongono, fino ad alla bagna càoda... ma senza accorgercene tra vitel tonnè e bagnèt verd siamo arrivati in Piemonte ... già ma come hanno fatto ad arrivare fino a qui le acciughe?

Pare impossibile, ma una volta il sale era tra le merci più preziose, unico modo di conservazione di pesci, carni, insaccati, formaggi.

Era gravato da dazi esosi, rendendosi necessario il trasporto, attraverso vari confini, per raggiungere le terre prive di questo bene così importante.

Nacquero le Vie del Sale, una delle più suggestive, quella che va dalla Liguria al Piemonte attraversando sentieri impervi con panorami mozzafiato.

Un astuto mercante per evitare le alte gabelle imposte, pensò bene di coprire il sale con qualche strato di acciughe, che molto meno pagavano in tassa, così che al controllo sfuggisse il vero contenuto del barile.

Arrivate in Piemonte le acciughe salate, di qualcosa dovevano pur farne, e oltre a metterle un po' dappertutto, inventarono la bagna càoda o càuda.

Questo pietanza è un piatto tosto, da uomini duri, di condivisione pura, quando il vino nuovo è pronto da assaggiare, infatti era uso farlo in cantina spillando il vino nuovo, rosso.

Dicevo piatto tosto perché l'altro ingrediente in grande quantità è l'aglio, magari di Caraglio, l'Aj d Caraj, già che siamo in Piemonte, .

Se pur come tante altre ricette, anche della bagna cauda ne esistono mille varianti, io, di nonni piemontesi, scrivo quella che so, diciamo per quattro persone:

Pulisco almeno 12 bei spicchi di aglio e li metto in una ciotola con acqua fredda.

In un tegame di coccio metto solo un mestolino di olio evo, buono, ligure, con un pezzo di burro e faccio scaldare dentro a fuoco basso l'aglio asciugato e fatto a fettine sottili, fino a che non diventa una crema.

Intanto ho pulito lavandole in acqua e vino, diliscate e asciugate almeno 12 acciughe belle grosse, stagionate un anno se possibile, e le metto nella pentola insieme all'aglio, con circa 400gr di olio, sempre evo, sempre a fuoco basso quel tanto che basta perché si sciolgano e formino una salsa dal bel colore marrone chiaro. Non deve soffriggere e tantomeno bruciare niente, pena il gusto completamente rovinato del tutto.

Questo intingolo viene distribuito nelle "sciufette o fojot" che ogni commensale ha davanti, con un cero sotto per tenere calda la salsa, mentre si intinge ogni sorta di verdura cruda, cardo, peperoni, cavolo cappuccio, cipollotti, cuori di indivia e di scarola, ma anche mele, fette di polenta, patate e scorzonera bollite.

Per quello che riguarda finocchio, ravanello e sedano, che a me invece piacciono tanto, la tradizione li ritiene troppo aromatici.

Ne esiste una variante famosa, buona, che vuole l'aglio cotto nel latte, ma forse è quella per le trattorie dove gli avventori non apprezzano il gusto puro dell'aglio.

D'obbligo il bicchiere di Barbera (ma a me, sempre per via dei nonni della zona di Ovada, nel sangue scorre quella parte di Dolcetto o Grignolino e non mi offendo se non è Barbera) rigorosamente nuovo, spillato dalla botte.

Per la polenta, la tradizione viene dal generale Alessandro della Marmora che fece servire la bagna càoda con la polenta, nel 1855 in Crimea, per tenere alto il morale delle truppe, e a giudicare da come corrono strombettando i suoi bersaglieri...




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Lella

 

Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi.


Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna.


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