Search Results
382 risultati trovati con una ricerca vuota
- L'INSALATA RUSSA
È arrivato il momento di parlare anche di lei, l' insalata russa... Perché si chiami, russa con le ricerche storiche ora si sa, ma dalla Russia è partita con il nome di insalata Olivier. L'originale, quella pensata dal tale chef francese Lucien Olivier, che in Russia, nella metà del 1800 la inventò, conteneva carne di selvaggina da piuma, lingua di vitello, gamberetti di fiume, olive, capperi ecc. era rifinita con la gelatina, assomigliava di più a un aspic che a come è arrivata qui, e infatti in Russia è ancora chiamata insalata Olivier e le diatribe sulla ricetta perfetta sono esattamente come qui per tanti nostri piatti e poco assomiglia alla nostra. Nel percorso dalla Russia a qui è successo che ha perso per strada molta della sua opulenza probabilmente per i cambiamenti sociali che ci sono stati dalla fine dell'ottocento, crisi e guerre che nel tragitto hanno tolto molti ingredienti costosi. Mi sovviene una striscia comica che ho visto tempo fa che recitava: "In Germania l'insalata Russa è chiamata francese, in Germania italiana, in Italia russa... è evidente che nessuno se ne vuole prendere la responsabilità". Per molto tempo è stata immancabile nei piatti degli antipasti delle feste, ora mi sembra un po' meno presente perché anche il cibo segue le mode. La ricetta di casa mia è come sempre, leggermente diversa da altre viste in giro, chissà se per la preoccupazione di mia madre, combattuta fra è buona ma poco salutare per le troppe uova o per la saggia avvedutezza del costo del troppo olio impiegato: - Tuttu quell'oio! - e pensare che mai avrebbe creduto in un mondo dove con pochi euro adesso ti porti a casa un vasetto di maionese enorme. Così il risultato raggiunto è buono, molto più leggero ed economico. Nessun segreto, semplicemente una delle patate bollite schiacciata e mescolata con poca maionese e con queste condite le verdure, chissà quanti faranno già così. Con questi pochissimi ingredienti, dal costo irrisorio, anche dovendo comperare gli ingredienti, ho ottenuto una quantità che può essere servita con generosità a quattro cinque persone: 3 patate medie grandi 2 carote 200 gr. di pisellini fini, ho messo i miei del congelatore, anche se sono un po' grossi 1uovo sodo Giardiniera sott'aceto, funghi sott'olio o simili a piacere come decorazione Ho fatto un video per far vedere quanto è semplice, anche recuperando la carota dell'orto un po' così... Amo bollire le verdure per queste preparazioni già tagliate a dadini e a vapore. Cuocendole quel poco che restino croccanti. Una patata invece la lascio a fette. Cotte le verdure le metto in una pirofila con qualche goccia di olio e un pochino di sale a raffreddare Per la maionese: un tuorlo d'uovo a temperatura ambiente 100gr. di olio di semi (di mais, di girasole, di arachidi o anche di oliva se piace) un cucchiaio di aceto, meglio di mele un cucchiaino di succo di limone sale Va di moda adesso usare anche l'albume, a me hanno insegnato che il tuorlo dell'uovo crudo è digeribile mentre l'albume resta notevolmente indigesto e quindi non lo metto. C'è poi chi non farebbe mai la maionese senza pastorizzare l'uovo, ognuno faccia come crede. Per pastorizzare le uova non ci sono grossi problemi, basta scaldare l'olio a 120° e far bollire l'aceto...ma sarà davvero così? non proprio... anche se sono in molti ad asserirlo, così come si dice per lo sciroppo di zucchero a 120 gradi per le preparazioni dolci. L'eventuale salmonella che può essere all'interno dell'uovo non credo si elimini semplicemente con un po' di aceto e olio caldo, troppe sono le varianti, la temperatura dell'uovo, la quantità, ecc. ecc. La salmonella sul guscio può essere eliminata lavando velocemente le uova con acqua calda solo pochissimo prima di usarle. Un vantaggio di usare le uova pastorizzate è che sicuramente dura di più chiusa in un barattolo in frigo. L'importante è che non corriate a lavarvi le mani appena avete rotto l'uovo se poi fate la maionese con l'uovo crudo. La procedura per farla con il frullatore a immersione è ormai conosciuta a tutti: si versa uovo, sale, succo di limone, eventualmente la senape, in un contenitore alto e stretto. Si mette il frullatore a immersione posato sopra l'uovo, si aziona senza mai sollevarlo fino a che l'uovo non schiuma un po', a questo punto si aggiunge a filo l'olio intiepidito e si continua con il frullatore sul fondo fino a che non si forma la maionese, per ultimo l'aceto caldo C'è chi mette anche l'olio subito, in questo caso però a freddo. In rete ci sono centinaia di video di dimostrazione. Anche l'aggiunta di un cucchiaino scarso di senape pare aiuti a emulsionare la maionese. C'è ancora chi fa la maionese con le uova sode, chi mette lo yogurt, a me va bene tutto, ma è un'altra cosa ne più buona ne meno buona ma è un'altra cosa. Personalmente ho imparato verso i quindici anni da un gentile amico di mio papà, con il quale andavamo a pesca di trote e una domenica sera tornando, per cuocere il pescato a casa sua, mi insegnò la maionese a mano, quando di frullatori a immersione non se ne aveva notizia. Adesso se devo davvero farne tanta uso frullatori a immersione e non, ma se è per un tuorlo finisco per far prima a mano, scodella e forchetta o frustina. Procedimento quasi identico: in una fondina arrotondata sciolgo il sale con un cucchiaio di aceto (io di mele), aggiungo il tuorlo emulsiono un attimo comincio ad aggiungere olio versato a filo, forchetta che sbatte senza fermarsi, quando comincia a emulsionarsi si aggiunge il limone . A dir la verità non misuro nemmeno l'olio. Questo piccolo video è in tempo reale, cioè il tutto non dura cinque minuti, salvo qualche interruzione perché mi cadeva questo o l'altro ma si vede quanto è semplice. Ho recuperato sicuramente più maionesi impazzite con il frullatore di quelle a mano, e l'unico metodo che ho trovato valido è ricominciare da capo con un tuorlo e aggiungere la maionese impazzita come fosse l'olio. Olio sì, ma che olio? Un tempo la facevo solo con olio evo, specie se ligure leggero, adesso più spesso con olio di mais spremuto a freddo, insomma non un olio di semi di quelli ottenuti con solventi vari. Fatta la maionese, si schiaccia bene la patata come per fare il purè, bella fina e liscia e si mescola a un cucchiaio di maionese, si condisce con questa le verdure pronte e raffreddate, alla quale si possono aggiungere due cucchiai di giardiniera, o di soli cetriolini se piacciono, noi in casa qualche pezzetto di fungo sott'olio. Oggi non ne avevo sottomano non li ho messi. Si controlla se piace o serve aggiungere sale. Si sistema artisticamente in un piatto, io chissà perché lo preferisco ovale, tutto a cupola e si copre di un velo di maionese. Si procede poi con le decorazioni come si vuole. Di solito fettine di peperone rosso, di carota, olive spaccate. L'insalata russa era una delle poche occasioni per tirare fuori l'affetta uovo, uno degli oggetti più inutili che esistano, ma di grande soddisfazione per mia madre quando doveva tagliare più di un uovo e quello che uso i suoi 60 anni passati li ha e fosse mai che taglio un uovo con il coltello per l'insalata russa. Qualsiasi aggiunta all'interno come al solito è lecita per il gusto proprio. C'è chi non la considera nemmeno insalata russa senza tonno sott'olio, o molti mettono carne di pollo o cubetti di prosciutto cotto e chi sono io per proibire di metterli? In casa mia quella non era insalata russa, se mia madre doveva scegliere cosa aggiungere, sceglieva una verdura magari fagiolini, o metteva più giardiniera. Quel che posso assicurare che abbondare di maionese non fa di questa pietanza qualcosa di migliore, ma uccide il gusto degli altri ingredienti, rendendo tutto pesante. Basta il velo sopra che la ricopre, per il resto si può fare come uno vuole. Un consiglio per prepararla per tempo: preparare le verdure condite anche uno, due giorni in anticipo e finire nel piatto di portata solo poco prima di portare in tavola. Questa insalata russa si può servire a cucchiaio, magari su una foglia di radicchio rosso, accanto all'antipasto di salumi, o se ci si vuol sbizzarrire, pressata dentro a una formina rotonda o dentro a un mini bicchiere da finger food. Un antipasto, anche quello ormai datato, erano gli involtini di prosciutto cotto, ripieni di insalata russa, volendo o non volendo ricoperti di gelatina, che sarei giusto dell'idea di riproporre per queste prossime feste. Magari più piccoli, giusto come un finger e non ricoperti di gelatina ma solo decorati. Dimenticavo: per gli appassionati di storia, pare che la maionese debba il suo nome a Mahòn, sull'isola di Minorca, quando il duca di Richelieu durante l'assedio, chiese al cuoco di preparare qualcosa di freddo con quel poco che era rimasto, così da non accendere nemmeno i fuochi. Il duca vinse e la salsa si continuò a fare ricordando Mahòn --- maionese. Circola voce che qualcosa di simile già esisteva e che fosse addirittura chiamata "salsa genovese" ... chissà quale sarà la verità Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- IL TREZÉN DI VARESE LIGURE
Pe a festa du Trezén chi no mange in conpagnîa ghe beiga e òsse Paese che vai usanza che trovi. E se vieni a Varese Ligure la sera del 13 gennaio potresti trovare tavole imbandite per cene tra amici per festeggiare il Trèzen , il tredicino o meglio il tredicesimo giorno di Gennaio. L'usanza si perde nella notte dei tempi, è talmente antica che nemmeno gli storici locali riescono a collocarne l'inizio. Viene sicuramente in mente associarlo al Capodanno Ortodosso che segue il Calendario Giuliano e quindi la sera tra il 13 e il 14 gennaio sarebbe l'inizio del nuovo anno. Finiscono anche le Calende Contadine, almeno quelle in uso in questa zona, che comprendono l'osservazione dei primi dodici giorni di Gennaio per prevedere l'andamento meteorologico dei dodici mesi dell'anno, quindi il primo gennaio rappresenta le condizioni di tutto il mese di Gennaio, il 2 gennaio il mese di Febbraio, il 3 gennaio il mese di Marzo e cosi via. A questo proposito si narra che contadini e padroni si riunissero, nella serata del 13 Gennaio, nelle cantine, solitamente fra uomini, a regolare i conti di fine anno e a "programmare" semine e altri lavori nei campi con l'interpretazione appunto delle calende, una specie di briefing , si direbbe oggi 😂. La serata era allietata da vino nuovo e pietanze varie, confezionate spesso per non sprecare qualcosa avanzato dalle feste, non poteva mancare il Pan Martin ( qui>>> ) , fatto con la farina di castagne nuova, in qualche caso arricchito da fichi secchi, in qualche località ancora oggi si fanno i Frisceu (qui>>>) e altrove come dolce il Busciolan . Qualcuno ricorda ancora come nel dolce, che poteva essere anche la famosa Torta di Fecola di Varese Ligure ( ma questa merita un post tutto per lei) veniva inserito un bottone, o un anello o simili, e il fortunato che lo trovava a secondo del colore o della forma aveva la previsione e l'indicazione sul proprio futuro. Insomma da quanto ho capito e dopo qualche Trezén sulle spalle, mi sento di poter dire che l'evento segue la tradizione culinaria della casa dove si festeggia senza un piatto particolare che lo rappresenta assolutamente. Avendo già parlato di Pan Martin e dei Frisceu non mi resta che raccontare qualcosa del Busciolan . Busciolan sta per Bucellato ed essendo Varese Ligure piuttosto vicino, sente l'influenza della Toscana dove questo dolce è principe, specie nella zona di Lucca, ma anche in Sicilia, con ricetta molto diversa. Il nome, trae le sue origini dall'antico Buccellàtum , una sorta di pane arricchito che già gli imperatori romani distribuivano al popolo e che era adatto a essere rotto in piccoli pezzi, a essere " sbocconcellato ", e deriva nella forma dalla buccina , la tromba rotonda usata dai legionari romani. La mia ricetta è, come sempre, una delle tante di questa zona, diversa ma simile a quelle di altre parti d'Italia e nello specifico nel mio ricettario personale, è segnata come " Busciolan di Zia Ilda " dal nome della simpaticissima zia del mio parroco che me lo insegnò tanti anni fa, quando lo facemmo insieme a chili per orde di famelici bimbi alla colonia di Cassego. Occorrono: 500 grammi di farina autolievitante o farina OO e una bustina di lievito per dolci 150 grammi di zucchero Un etto di burro morbido o una confezione di panna fresca la buccia di un limone grattugiato 3 uova Mescolo nel caso con poco latte, se si usa la panna non serve, un impasto non troppo liquido, distribuisco nella teglia, dopo aver posizionato una tazza imburrata nel mezzo per creare il buco, copro la superficie con pinoli, mandorle, pezzi di cioccolato infarinati, a piacere. Con una mano appena bagnata spruzzo la superficie di acqua e spargo dello zucchero semolato. Inforno a 180° Si possono aggiungere cedro candito, uvetta, un liquore all'anice o del rum o del marsala, sostituire il burro con olio, ma come dicevo questa è solo una delle versioni, la mia e della zia Ilda. Un tempo anche questo era un dolce fatto con la pasta madre e forse si potrebbe riprovarci, anche se già l'Artusi ne propone una versione con bicarbonato e cremor tartaro. È uno di quei dolci semplici ottimo anche a colazione, da sbocconcellare appunto. ringrazio i cortesi signori di Varese Ligure che hanno gentilmente condiviso con me le notizie sul Trezen Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- ANICINI E ANICE
Gli occhi l'anice avvalora e lo stomaco ristora Scuola Medica Salernitana Tempo fa raccontavo di quando andando in visita ai parenti, specie durante le festività, si portasse il classico pacchetto di Anicini. Sempre quando si "andava a trovare" un convalescente, per felicitarsi dell'avvenuta guarigione, convinti come si era una volta, che niente era meglio dell'uovo sbattuto e zucchero per riprendersi e in pratica questo sono, più leggeri di un dolce con burro, con l'aggiunta delle proprietà dei semi di anice. La mia ricetta, penso simili a tante altre, è con 200gr. di farina 00 200gr. di zucchero 3 uova un cucchiaino di semi di anice poca acqua di fior d'arancio uno stampo da plum cake Monto prima gli albumi a neve ben ferma con un cucchiaio di zucchero, così poi posso usare il mixer senza lavarlo per sbattere bene i rossi d'uovo con lo zucchero. Mentre sbattevano ho unito un cucchiaino di semi di anice finemente tritati. Non bisogna confondere i semi di Anice per la ricetta con i semi di finocchietto selvatico ( qui>> il Finocchio selvatico ) simili ma non uguali, usati quelli per fare i Biscotti del Lagaccio ( qui>>>I Lagaccio... ). In questo caso ho messo semi di anice stellato, ma si dovrebbero usare i semi di anice dei prati, facilmente reperibili nei negozi di prodotti per dolci. Ho messo anche un cucchiaio di acqua di fior d'arancio o se non ce l'ho succo d'arancia. Unisco a mano con molta attenzione gli albumi montati e poi la farina setacciata poco per volta. Avevo questo stampo da plumcake ondulato per fare non so più quale dolce (fa parte del mio corredo di 72 teglie messe insieme fra comprate ed ereditate) al quale pensavo da tempo per gli Anicini e infatti, dopo averlo imburrato e infarinato leggermente, ho versato l'impasto con attenzione livellando bene. Lo stampo mi ha suggerito una lettrice del blog è per l'amor polenta un dolce tipico della zona di Varese Lombardo. Ho cotto in forno statico a 180° per 15-20 minuti fino a che non ho visto la superficie che iniziava a colorire. La scelta dello stampo si è rivelata giusta, l'impasto trattato con attenzione, pur senza lievito, è cresciuto tanto da permettermi, una volta cotto ed estratto, di tagliare i biscotti in misura lungo la traccia, dividendo poi le fette a metà per avere due biscotti ogni fetta Messi su carta forno li ho fatti biscottare in forno ventilato a 180° sorvegliando con attenzione e togliendoli appena accennavano a prendere colore. La tradizione li vuole di accompagno a un buon bicchiere di vino bianco, ma anche una bella tazza di tè caldo. Sinceramente non mi ha soddisfatto la scelta dell'Anice stellato, che nella cottura mi sembra aver perso tanto. La ricetta mi dà l'occasione di parlare dell'Anice, parola con la quale si intende comunemente più di una pianta. Piante tutte che ricordano nel profumo e nel sapore il finocchio con un vago sentore di menta. L' Anice vera o Pimpinella anisum L. , chi è fortunato la trova nei prati dove nasce spontanea, non ovunque. Per la sua stretta parentela con prezzemolo e cicuta, nonostante il forte odore aromatico, sconsiglio vivamente di ricercarla e fare prove visto i rischi che si corrono a sbagliare e quindi di affidarsi a un negozio per comperarne i semi che in realtà poi sono i frutti essiccati. Usata da tempi antichi, considerata pianta invincibile e annoverata fra le piante magiche. La tisana di questi frutti ha proprietà antisettiche, è utile per intestino e stomaco, si crede favorisca la montata lattea e dia un buon sapore al latte materno ed è per questo che gli Anicini venivano portati in regalo alle puerpere. Il suo olio essenziale è pericoloso in un uso casalingo. Un altra confusione è con l'Aneto, altra pianta della stessa famiglia ma con odore profondamente diverso. Non avendola qui metto un disegno botanico trovato in internet. Questa erba èspesso sostituita in quasi tutti gli usi di pasticceria dall'Anice stellato, che fa prima ad arrivare dall'Oriente che l'Anice vera dai nostri prati . L' Anice stellato o Illicium verum è un albero tropicale i cui fiori bianchi si trasformano poi nella stella legnosa che tutti conosciamo. Ogni lobo contiene un seme. È usato per produrre liquori come la Sambuca, il Pastis, il Mistrà. Ricco di proprietà simili al finocchio e all'anice vera, un acido estratto da questa pianta è presente nella composizione di un antivirale usato nella cura dell'influenza. Anche per questo la foto è presa da internet. Anice stellato Molti considerano anche la bacca di un'altra pianta orientale, Zanthoxylum piperitum o pepe di Sichuan, simile all'anice, forse perché spesso usata insieme all'anice stellato. Non ne faccio uso per la mia intolleranza alle spezie in generale. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- PANETTONE GASTRONOMICO
Classico delle feste, degli antipasti, da tanto volevo farlo, tutti gli anni ho sempre comperato quelli già pronti da farcire, quest'anno ho deciso di farlo. Ci vuole meno di quanto si creda, fra una cosa e l'altra si può imbastire anche in anticipo, anzi si deve comunque sempre farlo almeno il giorno prima. Da tanto avevo in casa il pirottino di carta da mezzo chilo, ormai si trova in qualsiasi supermercato. per questa dose ho usato questi ingredienti: 150 gr. farina 00 100 gr. farina manitoba 50 gr. farina di semola 65 gr. acqua 65 gr. latte 30 gr. olio 1 uovo intero e un tuorlo 15 gr. zucchero 6 gr. di sale 1/2 bustina di lievito secco Mastro Fornaio Pizza Bella Alta Ho mescolato l'acqua al lievito e 100g. di farina e messo a lievitare al caldo (vicino al termosifone, o nel forno spento con la luce accesa. Quando sarà lievitato con le bollicine in superficie aggiungo il resto della farina, l'olio, il latte, un uovo intero e un rosso. Mescolo prima con una forchetta poi trasferisco sulla spianatoia e impasto a mano per qualche minuto, meno di dieci, fino ad avere un impasto morbido appena appena appiccicoso. Rimetto nella ciotola, copro e a lievitare al caldo. In questo periodo lo metto sopra alla stufa, altrimenti nel forno con la luce accesa. Ben lievitato lo rimetto sul piano lo stendo con il matterello a forma di rettangolo, piego i lati, arrotolo, copro e faccio lievitare di nuovo una mezz'ora. A questo punto, sempre sul piano, lo giro, ovvero come si dice lo "pirlo" fino a dare la forma caratteristica a mezza cupola, lo metto nel pirottino, deve arrivare a circa due terzi, o poco più di metà, e di nuovo coperto a lievitare. Il tempo è dato dalla temperatura, dalla farina, dal tipo di lievito. Da quando uso questo Mastro Fornaio Pizza Alta devo dire che non ne ho fallito uno e non ci metto poi così tanto. Per chi si lamenta che questi tipi di ricette siano complicate volevo aggiungere che non è che i lievitati vogliono essere tenuti per mano, o guardati ossessivamente. Mentre loro lievitano si può fare altro, perfino uscire di casa che non se ne accorgono e tornare a riprenderli più o meno al momento giusto, qualche minuto non pregiudica il risultato, basta non dimenticarsene. Una volta le donne impastavano il pane, lo mettevano a levà, poi andavano a far erba, a mungere la mucca, tornavano, mettevano a cagliare il latte, davano due pieghe alla levà, tornavano a fare il bucato ecc. ecc. Adesso il panettone lievita anche se si va a fare la spesa, si passa dall'ufficio, si va a prendere i bambini a scuola, ecc. ecc., giuro. Lievitato che sia, si inforna a 170°. panettone salato bruciato E così, confidando nella mia furbizia e l'innata esperienza con il forno della stufa a legna, me lo sono dimenticato e ho messo troppa legna, bruciando la superficie, e anche con il forno elettrico, a 160°-170° statico, consiglio di coprirlo con carta forno se tendesse ad arrostire troppo, dato che nel forno ci deve stare un'oretta. Nessuna paura però, la mia è solo una strinatura superficiale. Anche se questo non ha la procedura più lunga di altri panettoni, l'ho comunque infilzato con due ferri da calza, messo fra la griglia del forno spento, (la luce è accesa solo per fare la foto) a testa in giù fino all'indomani mattina, tolto la superficie bruciata e usato tranquillamente. Dentro era perfetto e buonissimo. Il raffreddamento a testa in giù serve per mantenere la sofficità, l'umidità che il pirottino tenderebbe a trattenere farebbe collassare la cupola, e comunque non è mai il caso di tagliarlo subito. Forse con questo tipo di impasto meno, mi piace farlo visto il risultato di fette che rimangono soffici anche nel tempo. Lo rifarò mettendo delle foto più decenti. Esperimento riuscitissimo, dato che non dovevo usarlo subito e che volevo vedere se si poteva usare, vista la scottatura, il mattino dopo l'ho tagliato a fette, eliminato la cupola bruciacchiata e come si vedono in foto, messe dentro ad un sacchetto e posizionate in congelatore. Tirate fuori dopo un mese, lasciate scongelare una notte in frigo, erano perfette come appena fatte per essere usate per l'aperitivo di Natale con gli amici. È noto come per il panettone gastronomico si usi farcire le fette nei più svariati modi. Chi lo fa solo di pesce, chi lo fa di carne, chi lo fa di vedura o chi mescola. Maionese, salsa tonnata, burri e formaggi morbidi alle erbe, mousse varie Salmone, gamberetti, prosciutto e altri salumi vari, funghi sott'olio, tonno, uova di lompo, insalate, infinite le varianti. Si tagliano le fette partendo dal basso, non più alte un dito, calcolando che non si farcisce la base con la crosta e la cupola, si spalmano le creme, si farcisce, si copre con la cupola intera. Non farcisco la base perché mi sembra che quella fetta in più dia solidità e non farcisco la cupola sempre perché mi sembra che stia più in forma. Si fascia nella pellicola e si tiene in frigo fino a mezz'ora prima di servire, così si compatta bene, così è trasportabile, e si conserva anche tre giorni in frigorifero. Si tira fuori dal forno, si lascia dieci minuti perché non sia troppo freddo, si lega con un fiocco rosso, si porta in tavola, si taglia a triangolini per ottenere dei mini tramezzini facilmente asportabili. Sono pochi anni che ho capito come si farciva, cioè una fetta farcita e una no, in modo che si possano prendere poi con le dita, altrimenti tutte le fette ripiena come si fa? Farò la foto a quello che preparerò per l'ultimo dell'anno, adesso mi premeva la ricetta per cominciare dal pane. Nel disegno sotto le parti colorate sono le farciture, di solito mi viene meglio dal vero di come l'ho disegnato. Vado che ne voglio impastare un altro. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- BACIOCCA, prego! non torta di patate 😋
Credo la ricetta della Baciocca come la più controversa nella storia di tutte le ricette di cucina. Spesso una ricetta varia di zona in zona, mantenendo più o meno gli stessi ingredienti e spesso più di un paese se ne appropria la paternità. Nel caso della baciocca la diatriba fra ricette e paesi sfiora la faida familiare. Di casa in casa si sente " la vera ricetta è questa! ": le uova si, le uova no... la sfoglia sotto, la sfoglia sopra, la sfoglia no, l'aglio, la cipolla tanta ...poca... quale sarà la verità? Anche le origini sono fantasiose: chi asserisce che le ragazze di paese più belle e brave nel comporla, fossero chiamate " baciocche ", chi dice che la sfoglia messa sotto sia di un impasto "matto" di farina e acqua e quindi " baciocco ".... Il suo "areale" si sposta dal Levante ligure, all' Alta Val di Vara , ai confini con la Lunigiana a Prato SopraLaCroce, fino a spingersi nella Val Taro dove se ne fa un vero culto. Resta il fatto che le diverse versioni sono appunto diverse, fino a diventare una cosa completamente estranea una all'altra, fermo restando l'ingrediente principale: le Patate . LA STORIA Ho studiato a fondo le varianti e mi sono fatta una mia idea storica. In Italia è sempre o perchè c'è passato Napoleone o perchè c'è passato Garibaldi, in questa storia tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, tale sorella di Bonaparte, Elisa, detta la Baciocca dal cognome del marito Felice Baciocchi , regnò sul piccolo ducato di Massa e Carrara, Lucca e Piombino. Su di lei se ne narrano di cotte e di crude, amica di Nicolò Paganini (originario di Carro, Alta Val di Vara, ai confini con Massa Carrara) e molto...diciamo... "apprezzata e desiderata". Le premesse ci sono tutte perché qualcuno decida di usare il soprannome " baciocca " per le ragazze appetibili e scarse di contenuto e trasferire l'appellativo a una pietanza comunque buonissima con il poco che c'è dentro. Per quanto mi riguarda la vera ricetta resta quella che ho imparato qui in Alta Val di Vara e che si differenzia poco da quella di Santa Maria del Taro dove da qui è trasmigrata, proprio perché è anche quella più particolare, più scarna, ma più saporita tra le tante. Non ci sono le uova, e me ne sono fatta una ragione, visto che la scorta di patate coincideva con la muta delle galline, periodo nel quale fanno meno uova. Mi sembra logica la sostituzione di queste con le due farine di grano integrale e di granoturco per il colore, il sapore e per permetterne l'amalgama. Non veniva usata altra farina per la sfoglia sotto, ma veniva posata sulle foglie di castagno che fungevano da teglia e cotta sotto il testo come il pane. Quando la cuocio nel forno di casa a volte metto la sfoglia, ma solo per poterla porzionare e servire in maniera più precisa e funzionale. Insegnatami più di cinquant'anni fa da un'anziana del paese, che non voleva saperne di altri ingredienti oltre a questi che descrivo, nel caso l'aggiunta di sfoglia, uova o altro avrebbe dato per risultato finale quello che era da lei definito quasi con disprezzo "torte di patate". Mi sento a pieno titolo di erigere la mia ricetta come la più passabile di autenticità. Dunque veniamo al dunque. LA RICETTA Trito il lardo, un segreto antico è quello di scaldare la lama con il quale si trita, coltello o mezzaluna di ferro, la mia è quella di nonna non la cambierei con niente altro. Con pochi veloci movimenti ecco il lardo, circa 200gr, ridotto in pasta. Trito anche la cipolla, una piccola e la metto ad appassire in una padella a fuoco moderato. Trito finemente anche aglio prezzemolo e un nonulla di rosmarino In una terrina taglio le patate, circa 1kg e mezzo, a fette non sottilissime. Patate, quali? La tradizione del levante ligure dice Quarantina, a me piace tanto la Monalisa, certamente non una patata farinosa che tenda a sfaldarsi. aggiungo il trito di erbe e quello di cipolla appassita con il lardo, due pugni di farina di granturco e una di grano, integrale mi raccomando, e una bella manciata di parmigiano Mescolo ben bene con le mani, è l'unico sistema per amalgamare tutto, nel caso mi aiuto con uno o due cucchiai di panna o latte. Nel frattempo, avevo ammollato le foglie secche di castagno in acqua tiepida (vedi il post Sua Maestà il Castagno: non si butta via niente, tantomeno le foglie ). La cottura ottimale è sempre quella sotto al testo (vedi il post PANE..profumo di pane ) ma non avendolo a disposizione mi accontento di mettere le foglie nel tegame. Se non ho le foglie di castagno, impasto la pasta matta, anche con un comune robot da cucina. Farina, acqua e sale con un po' d'olio, quanto basta per avere un impasto morbido. Tiro una sfoglia sottile a coprire la teglia e sopra posiziono le patate schiacciando per bene in uno strato più o meno di 2 o 3 cm La Baciocca deve trasudare grasso, quindi ancora un bel giro d'olio sopra e inforno a 200° C per 40 minuti Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze interessanti . Se vuoi, puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un Manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- TARTE TATIN SALATA DI CIPOLLE
Piove, improvvisamente piombati dentro a un autunno estivo, qualcosa bisogna inventare. È la mattinata giusta per accendere il forno, visto poi la quantità di cipolle pulite ieri per servirmi della buccia come colorante per la lana non mi resta che provare una torta di cipolle. Troppo classica, alla ligure, cipolle stufate, uova, formaggio, maggiorana... ci starebbe ma sono senza uova. Ripiego, ma si fa per dire, senza uova, su una Tarte Tatin salata. Non sapendo minimamente come fare decido di copiare paro paro la ricetta di quella dolce che avevo fatto ( qui>>>Tartetatinoriginalericettafrancese ) sostituendo le mele con le cipolle. Proprio per questo NON è una semplice torta con pasta sfoglia o pasta frolla salata ripiena di cipolle caramellate e infornata. Il procedimento è quello da ricetta originale francese. Preparo la pasta brisée, con l'olio questa volta, la mia teglia per questa preparazione è da 20cm. giusto per due persone, o per una persona a mo' di piatto unico. 120 gr. di farina 40 gr. di olio sale timo sbriciolato pochissima acqua, solo quella che serve per impastare, anche niente se non serve metto a riposare coperta Accendo il forno a 200° Metto un pezzetto di burro e poco olio nella teglia (cm.20) che andrà in forno, e metto direttamente sul fuoco. Affetto non troppo sottili due belle cipolle e già che ci sono aggiungo uno scalogno, sistemo nella teglia, in due strati, pizzico di sale, infilo nel forno caldo per una ventina di minuti. Tiro fuori, lascio il forno acceso, rimetto sul fuoco, spolverizzo di zucchero di canna, aggiungo un cucchiaio di aceto e faccio caramellare con attenzione per pochi minuti. Stendo la pasta, non troppo sottile, copro, bucherello, e rimetto in forno per venti minuti sempre a 180 - 200°, sempre forno statico. Quando la pasta è colorata, tiro fuori, rimetto sul fuoco per pochi secondi, per sciogliere il caramello sul fondo, con un piatto giro ed è pronta. Buona calda, buona fredda, buona con l'aperitivo, buona fra gli antipasti, buona con un piatto di insalata come piatto unico, intanto fuori è tornato un po' di sole. A proposito ... che bella la lana tinta con la buccia di cipolla! Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- TARTE TATIN
Tata, ta tarte tatin tenta Tonton ; tonton tâta ta tarte tatin, tata . Questo è il risultato di un naso schiacciato nella vetrina di una boulangerie a Saint Tropez al ritorno di un viaggio in Provenza con una cara amica tre anni fa. Appassionate entrambe di cucina e dolci, ci chiedevamo come mai si facesse, perché era evidente che non aveva niente da spartire con le solite ricette di torta di mele rovesciata che si leggevano in giro. La mia amica, più informata di me, aveva discusso la ricetta che aveva passaggi che non era riuscita a carpire. Il caramello perfetto, scuro ma non bruciato, le mele cotte ma non spappolate, la pasta ma che pasta? Le nostre incognite erano più o meno ma il caramello non rimane poi attaccato? ma le mele non fanno acqua sotto la pasta? ma la pasta? In questi giorni di raccolta di mele mi sono capitate tre belle renette e lo Strudel ( ricetta qui>>> ) lo faccio sempre, ho ricominciato a pensare a quella che avevo visto in vetrina in Francia e a tutte le ricette e le foto che mi erano passate in questi anni davanti senza che mi venisse voglia di farla, perché nessuna assomigliava neppure lontanamente. Poi, la svolta... cerca che ti cerca trovo una ricetta in francese, l'ho tradotta alla bella meglio, chissà se avrò capito bene, i passaggi diversi mi hanno convinto che era quella giusta. Per quanto mi riguarda è venuta perfetta. Ho usato una piccola teglia di alluminio di 18 cm. con queste dosi: Tre mele renette, sbucciate e divise metà e poi in quarti, non fette sottili 60gr. di burro e 120 di zucchero per il caramello 50gr. di burro e 100gr. di farina (la mia integrale) per la pasta brisé (no pasta frolla, no pasta sfoglia) un pizzico di sale e poca acqua fredda Accendo il forno a 200° Sbuccio e taglio le mele Con 50gr. di burro freddo e 100 di farina un pizzico di sale e due cucchiai di acqua fredda preparo la pasta. Metto sul fuoco medio direttamente nella teglia gli altri 60gr. di burro e i 120 gr. di zucchero e li faccio appena sciogliere, tolgo dal fuoco, e sistemo i pezzi di mela in cerchio, anche in due strati, cercando di stringere il più possibile. Infilo nel forno a 200° e faccio cuocere per una ventina di minuti. Passati i 20 minuti tolgo dal forno e rimetto la teglia con le mele sul fuoco e faccio caramellare, con attenzione perché non bruci Nel frattempo tiro la pasta non troppo sottile, appena più grande della teglia e bucherello con la forchetta. Sistemo sopra la pasta, premo sui bordi e infilo in forno per altri 20 minuti, fino a che la pasta non è dorata. Sfornata, lascio riposare un poco, poi, per sformarla, rimetto la teglia sul fuoco basso per un minuto per sciogliere appena il caramello, giro su un piatto, et voilà ... È molto buona e nonostante sembri una torta piena di burro e zucchero ne ha sempre meno che se fosse fatta con la pasta frolla che in più ha le uova e della pasta sfoglia che avrebbe più burro. Entrambe si inzupperebbero troppo, mentre la pasta brisè rimane friabile al punto giusto. Stephanie e Caroline Tatin Aggiungo solo quello che sappiamo un po' tutti, che è nata intorno agli inizi del '900 nel ristorante delle Sorelle Tatin a Lamotte-Beuvron, chi dice per una dimenticanza, chi dice che la torta rovesciata era già nota nella zona e Caroline e Stephanie aggiustarono solo la ricetta, tanto che tutti andavano da loro a mangiarla. Portata a Parigi da un critico gastronomico, tale Curnonsky, che la presentò con la fantasiosa storia delle mele bruciate per aver dimenticato di mettere la pasta sotto. Arrivò da Maxim's che la rese famosa servendola ai suoi tavoli, sempre con il nome di Tarte des demoiselles Tatin . Finalmente è arrivata anche a casa mia. Le informazioni che ho qui condiviso sono del sito https://www.unprincipeincucina.com/la-storia-della-tarte-tatin/ Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- NATALINI, I MACCHERONI DI NATALE IN LIGURIA
maccheroni natalini del Pastificio Dasso Nö ghe raxön, ne scûsa; Coscì và faeto e s’ûsa, Pe antiga tradiziön. Minestra: ö natalizio Tipico maccarön, Chêutto c’ûn pö de sellao, Ne-o broddo de cappön. Questo ö lé de prammatica, Nö sae manco Natale, Se ûnn-a minestra uguale A fösse eliminâ. Niccolò Bacigalupo Ho già accennato qui >>>È Natale ... a questo formato particolare di pasta che non si trova fuori della Liguria. Si tratta essenzialmente di grosse penne lisce lunghe tagliate in sbieco, che ormai solo pochi pastifici fanno e di solito venduti come pasta secca in pacchi, nello scaffale della pasta appunto. La tradizione, che potrete leggere in tantissimi altri articoli sul web, li vuole cotti come primo piatto nel pranzo di Natale, che iniziava nel pomeriggio, in un brodo di sbira , la trippa, nel quale si era fatto cuocere, se si era ricchi, un cappone, della carne di manzo e delle palline di salsiccia. Più prosaicamente finivano nel brodo della Cima qui>>> che si sarebbe mangiata magari il giorno dopo. Verso Savona si aggiungeva del cardo e venivano chiamati " e gambe du bambin ". Le trippe nel caso erano prima cotte in umido, anche solo insaporite in un soffritto di cipolla, sedano e carota, sfumate con vino bianco e fatte ben cuocere prima di essere aggiunte al brodo. Qualcuno ricorda ancora chi li riempiva con un ripieno morbido fra quello dei ravioli e quello dei tortellini e usava un ferro da calza per riuscire a farlo scorrere. Aggiornamento Natale 2024: Ho provato a farli e la ricetta dei Natalini ripieni la trovate qui>>> Erano anche usati la sera della vigilia per la cena di magro semplicemente bolliti con una costa di sedano e conditi rigorosamente con semplice salsa di pomodoro. Nella mia infanzia i tentativi di mia madre di farceli apprezzare cadevano tutti nel vuoto, al di là del neppure supposto brodo di trippa, pure asciutti con il ragù non hanno mai incontrato il favore di nessuno in famiglia, e ogni anno ci toccava sorbire il predicozzo che "il bisnonno li ha sempre mangiati", bisnonno che aveva trascorso gran parte della sua vita in quel di Savona, l'altro quello del Maggiolo, beveva la tazza di brodo di trippa la mattina di Natale senza manco i maccheroni. Scivolavano ovunque, non raccoglievano il sugo, in brodo non ne parliamo, chi riusciva a tirarli su con il cucchiaio? Ovviamente vanno cotti interi. Il pacco anonimo di Maccheroni Lisci giaceva per mesi nella credenza fino a che non finiva alle galline. Ma c'era un motivo ... non avevamo ancora capito che esistono i Natalini del Pastificio Dasso di Lavagna , e per fortuna mia un' amica me li ha fatti conoscere! Roberta e Rossella Dasso insieme al padre li producono tutti gli anni nel periodo delle feste ed è una corsa per averli. Sono una pasta fresca di semola e acqua che nulla a che vedere con quella secca industriale. Buoni in brodo, eccezionali con il Tuccu qui>>> , cotti pochi minuti in abbondante acqua bollente, alla quale volendo sempre essere ligi alla tradizione, si aggiunge una costa di sedano e poi scolati e conditi. Chiederò alle sorelle Dasso, delle quali godo l'amicizia, quale è il motivo di questa capacità dei loro maccheroni di raccogliere il sugo o perché non scivolino dal cucchiaio, al di là del gusto che resta eccezionale anche solamente bolliti. Li ho cotti giusto ieri sera a una coppia di amici e non c'è stato nemmeno il tempo di chiederci come andavano mangiati, che nella fiammanghilla non ce ne sono rimasti. Saranno le materie prime di ottima qualità o forse l'acqua di Lavagna? o meglio la passione di Roberta e Rossella? Un giorno vi parlerò più a lungo di questo pastificio, ora devo scendere in riviera a fare provvista di Natalini ... altrimenti mi tocca aspettare l'anno prossimo. Auguri!! Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- NATALINI RIPIENI, ANTICA RICETTA LIGURE DEL NATALE
Natalini ripieni Sottotitolo: Quando la pazzia ti prende. Già che i giorni precedenti il Natale non si ha niente da fare cosa mi è venuto in mente di provare? A riempire i maccheroni lunghi di Natale... un lavoretto da niente... Ricetta antica della quale poche notizie ho trovato in giro, nonostante molti ricordino che in casa qualcuno li faceva... la nonna, la zia... Ma se si facevano si possono sempre rifare. Supportata da Roberta e Rossella Dasso nelle mie pazzie, subito mi hanno messo a disposizione un vassoio di natalini con relativo sugo pronto per la prova. Natalini freschi appena usciti dalla macchina nel Pastificio Dasso - Lavagna Questa non è una ricetta di famiglia, ho un ricordo netto di mia madre in cucina che ci prova e poi esclama: - Nu ho miga amasòu nisciun - frase in dialetto per dire più o meno: -non ho mica ammazzato qualcuno da avere questa punizione- e non se ne fece niente. Quindi mai nemmeno mangiati. L'unica ricetta che ho trovato è stata quella sull'Antica Cuciniera Genovese. Per i ripieno come al solito, ci andrebbero animelle e schienali oltre a carne di vitella, più o meno le stesse cose del ripieno della Cima>>> , dei Ravioli>>> , dei Crocchini>>> , senza le verdure. antico metodo per riempire i natalini con un ferro da calza Servono necessariamente maccheroni lunghi freschi di pastificio, che non vanno cotti prima. Le problematiche iniziano quando devi infilare il ripieno, nella Cuciniera per compiere l'opera si consiglia di tagliarli a pezzi di 6-8 cm. Per quanto ho saputo veniva usato un ferro da calza per infilare il ripieno. Prima della ricetta vera e propria due constatazioni mie personali vista l'esperienza che mi sono fatta ieri sera. Se si vuole soffrire e infilare davvero il ripieno con un ferro da calza, il ripieno deve essere più sodo e può essere non finissimo, ma mettere in conto un tempo non indifferente per riempirli e forse la cosa può essere facilitata tagliandoli a metà. A un certo punto della serata mi sono chiesta ma perché non usare una sac a poche con il beccuccio quello lungo, da bignè? In questo caso però il ripieno deve essere finissimo, senza pezzetti di nessun tipo, proprio come una crema, altrimenti si tappa continuamente. pochi euro per il beccuccio lungo da farcire RICETTA PER IL RIPIENO Servono maccheroni freschi di pastificio non di pastificio industriale. In questa ricetta bisogna mettere qualcosa che sia o animelle o schienali o cervella, perché servono davvero come legante, e a fare un ripieno morbido abbastanza. Cosa che negli altri ripieni di solito cerco di evitare. Si deve tener conto che non si possono usare troppe uova perché i maccheroni potrebbero scoppiare, o troppo pane bagnato nel brodo per ammorbidire perché non saprebbero di niente. Ho messo cervella, non ho trovato ne schienali ne animelle in questo periodo non avendoli ordinati per tempo al macellaio, e carne di vitella passate nel burro con cipolla e una foglia di alloro, ma si può usare il prezzemolo, a me piace di più l'alloro. Per riempire una trentina di maccheroni ho usato fra una e l'altra circa 400gr. di carni, ho aggiunto un uovo intero e un rosso, due cucchiai di parmigiano, la mollica di un panino bagnata nel brodo e maggiorana tritata. Per il brodo del panino ho usato il brodo che metto via in congelatore, a cubetti, nei porta ghiaccio, così lo trovo pronto quando mi serve, altrimenti si può usare quello di dado, o anche quello fatto con il mio dado vegetale qui>>> Assaggio e regolo di sale. Con il beccuccio e sac a poche, il lavoro scorre abbastanza veloce, si deve stare attentissimi di non bucare con il beccuccio la pasta. Il ripieno una volta mescolato e fatta la prova suicidaria di riempirli con il ferro da calza, l'ho obbligatoriamente dovuto passare al frullatore e rendere finissimo. Si riesce così per tutta la lunghezza, senza riempirli completamente per impedire che il ripieno cuocendo li rompa. Li ho anche chiusi in cima e in fondo, i primi, poi... Vanno messi in teglia con un buon sugo di carne, questo fornitomi da Pastificio Dasso veramente eccezionale, allungato con il brodo, sempre perché la pasta deve cuocere, cosparsi di parmigiano. Ne ho fatto due file una sopra all'altra, di più mi sembrava si schiacciassero troppo, e infornati a 150-160 gradi. Fatti cuocere per una mezz'oretta e serviti caldi. primo strato di maccheroni ripieni pronti da infornare Erano le 23,30 quando li ho assaggiati e nonostante io abbia delle remore nei confronti dei ripieni troppo lisci e omogenei, sono rimasta piacevolmente stupita. Non si corra nell'errore di considerarli uguali a altre paste ripiene, tipo tortellini o ravioli, anche se gli ingredienti sono gli stessi, perché ogni forma, ogni cottura rendono il piatto diverso. È un piatto ricco, nutriente, saziante, una porzione basta davvero. Forse non serve davvero riempirli lunghi e il consiglio della Cuciniera di tagliarli a metà non è così assurdo anche perché è più facile metterli in teglia e poi comunque si tagliano per metterli nel piatto. Tant'è a me è piaciuto farli lunghi. cotti È una tradizione, come tante altre, che i marinai genovesi hanno portato in giro oppure riportato in patria. Gli ziti napoletani sono più o meno la stessa cosa, maccheroni lunghi lisci venduti in pacchi di pasta industriale, forse gli ziti non sono tagliati in sbieco in cima e in fondo, ma poi ci sono i mostaccioli ecc. ec.., Esiste una versione di Ziti alla Genovese, la famosa cottura di carne con tante cipolle, mentre quelli ripieni credo lo siano di un misto di formaggi e vanno bolliti prima e messi al forno coperti di besciamella. Dopo questa esperienza ho comunque capito immediatamente perché sono stati inventati i cannelloni, sono certa che una qualche cuoca nel farli ha pensato proprio come mia madre. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DEL PEPE ROSA
bacche di Schinus, comunemente conosciuto come pepe rosa È Natale e va di moda il rosso e quindi per decorare i piatti, chicchi di melograno e pepe rosa sono di gran uso e moda. Giusto ieri ho comperato un vasetto di pepe rosa e mi è sovvenuto di pensare: ma quanti sanno che non è pepe? Per una botta di... fortuna anche questa è una cosa che ho imparato da bambina piccola piccola, quando la nonna andava a passare le calde serate estive dopo cena, al fresco di Piazza Roma a Chiavari e mi portava con sé. Quale era l'albero preferito sotto al quale sedersi? Il grande albero di pepe rosa che è ancora lì. Lì c'erano le amiche ad aspettarla, io non avevo ancora la bicicletta e tentavo di andare a dondolarmi sulle catene intorno al maestoso monumento ai caduti. Dopo la partita a biliardo al Bar Roma, ci raggiungeva il nonno, che la prima guerra l'aveva fatta, assolutamente non voleva che mi dondolassi, per insegnarmi il rispetto a chi il monumento rappresentava, e così per distrarmi, mi spiegava gli alberi della piazza, contentissimo di potermi far notare quello del pepe rosa, non così comune. Spesso, quando da adulta dicevo che in piazza a Chiavari c'era un albero di pepe mi guardavano tutti come fossi scema, fino a che il pepe rosa non è venuto di moda mangiarlo anche qui. Quando le cose te le insegnano a cinque sei anni difficilmente le dimentichi, e a quell'albero ci sono affezionata ancora oggi e passo a salutarlo anche se la piazza è terribilmente cambiata e non so quanti si accorgono del monumento ai caduti. Sotto a quell'albero, su quella panchina, intorno ai sei anni, un'amica di nonna mi insegnò a fare l'uncinetto. uno dei due alberi di Schinus molle e la panchina in Piazza Roma a Chiavari Mi premeva parlarne perché l'ho sempre avuto per casa e proprio perché lo conosco da tanto, da tanto so come va usato. Non è vero pepe, il genere di piante si chiama Schinus , ne esistono tante varietà, provengono quasi tutte dal Sudamerica, anche se qualcuna si adatta al nostro clima, ed è usata per parchi e giardini. Quando ero in Puglia un'amica ne aveva un grosso albero da casa, pieno di bacche dal profumo meraviglioso che riuscivano a maturare e le raccoglievo lì. La pianta, alta, ricorda vagamente il salice, ma tutte le parti sono intensamente profumate. Le bacche crescono a grappoli e sono rosse . Schinus molle - foto dal web - È sì usato nell'alimentazione di tutto il mondo, ma non è scevro da controindicazioni. Molte più di quelle del pepe vero. La Food and Drugs Administration non ha dato l'ok per "uso di sicurezza alimentare certo" e lo sconsiglia specie in caso di gravidanza, di alimenti per bambini, disturbi dello stomaco e dell'intestino, nonostante la piccola quantità che se ne può usare, ma il grado tossicità varia da specie a specie, per esempio io ho acquistato il Schinus terebinthifolia, il pepe rosa brasiliano, una delle varietà che darebbe più fastidi se ingerito nella quantità che può far male, che è soggettiva, nei bambini per esempio può provocare vomito e diarrea anche una piccola quantità. Usato dicevo, nella cucina di tutto il mondo, è un eccellente insaporitore, per il suo gusto piccante anche se diverso da quello del pepe, nelle marinature del pesce, dei formaggi, nella cottura di carni e pollo, ma a me è stato consigliato di usarlo solo intero e evitare di macinarlo, anche perché tritato poi non sai quanto ne vai a mangiare davvero. Quindi anche se ora va di moda tutto, perché nessuno approfondisce più nessuna informazione, direi che sarebbe meglio evitare di macinarlo insieme a formaggi, salse, ecc. visto che gusto e profumo rimangono anche con la bacca intera, ed è molto decorativa, e poi può essere lasciata nel piatto. Non a caso non si trova già macinato in vendita, o almeno io non l'ho mai visto. Così come è da evitare una lunga cottura, meglio aggiunto all'ultimo minuto in scaloppine di pollo o a un filetto, o al pesce. Molti decantano anche proprietà fitoterapiche, ma la quantità che si dovrebbe usare avrebbe poi troppe controindicazioni, più certe dei benefici. Non si va oltre la disinfezione di ferite per la presenza di antimicrobici. Pepe del Sichuan Un altra confusione deriva dal fatto che tanti lo identificano con il pepe del Sichuan, che è un'altra pianta ancora, Zanthoxylum piperitum, questa proveniente dall'Asia, del quale si usano solo le bucce dei semi a maturazione. Questo si trova anche già macinato e viene messo insieme al peperoncino, che ne esalta il sapore e difficilmente esiste un piatto tradizionale cinese dove non viene usato. Non che anche questo non potrebbe dare qualche problema, ma lo stesso intorpidimento in bocca che procura la piccola quantità che se ne usa, ne impedisce l'abuso. Diverso è l'approccio a livello mondiale al pepe, importato dall'India, dove è usato dalla preistoria, conosciuto nell'antico Egitto, in Grecia e dai Romani. Indubbie le sue proprietà legate alla digestione, alla sua capacità di far assorbire i nutrienti contenuti nel cibo, per la sua capacità di esaltare il sapore. Anche se per certe patologie sarebbe meglio evitare per l'azione che può essere irritante. Ma ne scriverò un'altra volta e anche del perché il pepe è nero, verde o bianco. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- DELL' ARANCIO AMARO, DELLA MARMALADE E DEL FIOR D'ARANCIO
Torno torno la casa c'era "u jardinu", un ettaro d'àrboli da frutta: aranci, mandarini, limoni, limongelli...* A. Camilleri - Da quanti anni non mi capitavano delle belle arance amare da poter trasformare nella famosa Marmalade! >>>Pour Marie Malade Come ho già scritto in un altro post dedicato a varie marmellate, la parola marmellata in Europa si può usare legalmente solo per le marmellate di agrumi e pare che questo derivi dalla marmellata di arance che i cuochi fiorentini inventarono per la Regina Maria di Francia debilitata per le frequenti gravidanze. L'etimologia esatta della parola vuole derivi dal portoghese marmelo, la mela cotogna con le quali si confezionarono le prime composte. L'arancio amaro arrivò in Europa prima di quello dolce, portato dagli Arabi che lo scoprirono in India. In Sicilia, ormai spariti, presso ogni villa, tenuta, casa di campagna c'era una costruzione in pietre a secco, rotonda ma anche quadrata, u jardinu , dove venivano coltivati gli agrumi, spesso di una varietà sola. Il muro difendeva dai venti caldi e favoriva un microclima che tratteneva l'acqua. Le proprietà dell'Arancio Amaro, conosciuto anche come Melangolo, Citrus × aurantium, credo siano dimenticate dai più, perché non ne sento parlare molto. Un giorno le riscopriranno e così torneranno di moda. Questo frutto, specie nella buccia, contiene sinefrina un alcaloide che ha un'azione simile all'adrenalina, era ed è usata in preparati dimagranti ed energizzanti... che i cuochi fiorentini avessero ragione? Con tutte le cautele del caso, perché allo stesso modo aumenta la pressione e il rischio cardiovascolare. I preparati che derivano dall'arancio amaro devono essere somministrati da un medico che conosca bene il paziente che vuole dimagrire. Sempre perché naturale non vuol dire privo di controindicazioni. Dagli Arabi arriva non solo l'arancio ma anche la capacità di distillare i fiori di questo agrume, ottenendo così l'olio di Neroli, prezioso alleato per calmare, rilassare il sistema nervoso, utile nelle depressioni, nei periodi bui, dentro ha il sole delle arance del Mediterraneo. Per lo stesso motivo i fiori d'arancio non potevano mancare in occasione di matrimoni. Le zagare, come mi insegnò un calabrese che mi diede del suo meraviglioso miele di zagare, sono i fiori di tutti gli agrumi, arancio, limone, mandarino, anche se tendenzialmente si individuano con quel nome solo i fiori di arancio. Olio di Neroli perché deriva dalla moglie di quel Orsini duca di Bracciano e principe di Nerola, Anna Maria de la Tremoïlle de Noirmoutier, che lo introdusse in Francia alla fine del '600. Inutile dire che è largamente usato in profumeria. Purtroppo, puro è carissimo. In Liguria è nota l'Acqua di Fior d'Arancio, l'idrolato ottenuto dalla distillazione dei fiori di arancio amaro, una volta prodotto in grande quantità, in provincia di Imperia, nella valle di Vallebona, veniva e viene usata per profumare i dolci liguri, in primis il nostro pandolce e anche le chiacchiere. A Genova si può acquistare dalla Antica Farmacia dei Frati, cliccando sulla foto si va al link di riferimento. Con le belle arance che mi sono state regalate mi sono preparata una super marmelade, a modo mio, seguendo come sempre il mio istinto dopo aver letto e ascoltato decine di ricette. Ho pelato con un pelapatate le arance, togliendo solo la parte arancio, che poi in parte ho tagliato a striscioline. Ho tagliato a metà le arance pelate per togliere i semi, operazione da fare su un piatto per recuperare il succo. Ho passato questi pezzi nell'estrattore. Ormai faccio tutte le marmellate con l'estrattore, se non si possiede l'estrattore, o si hanno grosse quantità è uguale con la macchina della salsa, altrimenti si possono spezzettare e mettere sul fuoco con un bicchiere di acqua e frullare con il frullatore ad immersione dopo qualche minuto. Ho pesato la polpa ottenuta e ho aggiunto nella pentola lo zucchero nella proporzione di 800gr. per ogni chilo di frutta passata. Controllare il bollore con un fuoco non troppo basso, all'inizio sembrerà che si formi molto liquido, ma gli agrumi hanno un alto potere gelificante e anche se non sembra, da fredda rassoda tantissimo. Importante schiumare per avere un prodotto finito limpido. Dopo aver schiumato, ho aggiunto parte delle scorze tagliate a striscioline, che avevo appena tuffato in acqua bollente per un minuto. Tutte sembravano tante, le rimanenti l'ho messe in congelatore, qualcosa ne farò. Non serve tantissimo tempo, la pectina si degrada con la cottura e si ottiene l'effetto contrario, continuando la cottura si ha la caramellizzazione dello zucchero perdendo colore e profumo della frutta. Per una quantità limitata, tra uno e due chili non faccio bollire più di mezz'ora - quaranta minuti. Personalmente ormai mi regolo con il colore, ma il metodo del piattino freddo funziona sempre. Ho tenuto i semi per piantarli, chissà... l'arancio amaro sopporta anche temperature bassissime, io ci provo. ...e da oltre il muro l’agrumeto faceva straripare il sentore di alcova delle prime zàgare. Era un giardino per ciechi... Il Gattopardo * da “ A. D. Architectural Digest ”, Dicembre 1995 Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
- CIPOLLINE IN AGRODOLCE
Cipolline borettane in agrodolce pronte da mettere via Cipolline in agrodolce ma anche caramellate, insomma le cipolline borettane stanno bene ovunque e comunque. Per borettane si intende quelle piccole e schiacciate, che prendono il nome dalla località di Boretto, in provincia di Reggio Emilia, che una volta ne aveva quasi l'esclusività di coltivazione, ora invece si coltivano in diversi luoghi. Curiosità: Boretto è uno dei paesi della Bassa dove sono state girate alcune scene dei famosi film di Don Camillo e Peppone. Ho deciso di scrivere un post velocissimo perché mi sembra che l'uso di queste graziose cipolline sia caduto nell'oblio, forse perché è difficile trovarle da sbucciare, ma sempre più spesso in vassoietti già sbucciate a un prezzo quintuplicato. L'altro giorno ne avevo giusto in mano uno ma l'ho velocemente posato quando ho visto il prezzo, d'altra parte c'è un lavoro da tenere in conto, quello della sbucciatura, che potrebbe non sembrare così facile e veloce come invece è. Sono partita alla ricerca di quelle con la buccia ma sembrava quasi impossibile trovarle e quando l'ho trovate il costo era un terzo di quelle già sbucciate. Cipolline borettane Orto Torri da Piacenza Sono molto versatili e messe in agrodolce sono buone con gli aperitivi, gli antipasti e verranno bene in queste festività. Cotte, per esempio caramellate, glassate, in agrodolce, saranno un contorno perfetto per molti secondi di carne oltre ad avere un effetto positivo sul nostro organismo. Sono sicuramente più facili da digerire di altri tipi di cipolle. Vediamo allora come si sbucciano con facilità. Basta mettere al fuoco una pentola d'acqua e quando bolle buttare le cipolline, aspettare che riprenda il bollore, spegnere. Spostarsi su un canovaccio, scolare poche per volta e in un attimo si sbucciano. Si parte tagliando la radice e si sfila subito con facilità, senza timore che facciano piangere. Per due confezioni in retina da 0,500gr, cioè in tutto un chilo, al prezzo di € 1,29 ciascuna, non ho impiegato più di 10 minuti. Già pulite nel vassoietto avrei speso più di 10 €. Come è successo per altre cose già pulite, già cotte, che a volte possono venir bene, forse occorre ricominciare a trovare il tempo per farle, soprattutto se ne abbiamo bisogno in quantità più rilevanti. Per farle in agrodolce da conservare, la ricetta è sempre la stessa della mia giardiniera delicata>>> e per me è il modo come le gusto di più. Nel caso ne ho tolte poche dal peso totale per cuocerle caramellate di contorno oggi solo per me, e per quelle rimaste ho usato 300gr. di aceto, 30 gr. di olio evo, 30gr. di sale, 30gr. di zucchero una foglia di alloro, tre grani di pepe, due chiodi di garofano. Si porta a bollore e si mettono le cipolline sbucciate e lavate. Si lascia cuocere qualche minuto, non tanto, quanto basta perché rimangano al dente. Si tolgono con la schiumarola e si mettono su un canovaccio perché non continuino a cuocere e quando è tutto freddo si invasettano coprendole con il liquido di cottura e e si chiudono. Per quanto mi riguarda le faccio spesso, perché quando ci sono le facciamo fuori velocemente, come si vede nella foto, nemmeno il tempo di metterle nel barattolo che le stiamo già mangiando tutte. Se se ne fanno tante, se si vogliono tenere per tanto tempo, mesi intendo, dopo averli riempiti si possono pastorizzare i barattoli, così per essere più che sicuri che non vadano da male. Sempre il solito modo venti minuti da quando bolle l'acqua che li deve coprire. Info a questo altro post, https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/07/27/pesche-sciroppate-e-divagazioni-sulla-conservazione-domestica Si possono anche cuocere in solo aceto e poi allo stesso modo, scolarle far raffreddare e sistemare con l'aceto nel quale si sono cotte. Quando si consumano si condiscono con olio e erbette, tipo timo o origano. Si aspetta che siano fredde perché invasettate calde continuerebbero a cuocere e diventerebbero molli. cipolline caramellate Nella foto sopra la mia porzione di cipolline caramellate, glassate, oppure come si vogliono chiamare anche queste stufate in agrodolce. Si mette olio, uno spicchio d'aglio schiacciato, si fanno rosolare per benino qualche minuto, girandole, poi si aggiunge il sale, l'aceto, e lo zucchero, si copre, si lascia cuocere e in ultimo si toglie il coperchio per ottenere l'effetto caramellato Difficile dare delle quantità in questo caso, un cucchiaio di zucchero può essere abbastanza per 3 etti di cipolline e così un cucchiaio di aceto. La ricetta è suscettibile di variazioni infinite. In agrodolce a me piace di più con l'olio, se si omette l'aceto e si glassano solo con lo zucchero, si possono passare nel burro, si può usare zucchero di canna. Si può mettere una foglia di alloro o alla fine un po' di timo. Si possono aggiungere all'ultimo minuto nella teglia dove sta cuocendo l'arrosto e così via. In qualsiasi modo abbia fatto sono sempre deliziose e si sposano bene con tanti secondi. Se si prende a cuore la pulitura e si esagera comperandone una confezione grande, una volta pulite possono essere messe in congelatore pronte per essere usate, così come si possono congelare già cotte. Condividi il post! e poi torna, troverai esperienze affascinanti . Se vuoi puoi iscriverti alla news letter cliccando qui>> per non perderti nessun articolo. Lella Lella Canepa, creatrice di " Donne da Ieri a Oggi " una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di " Erbando " un ricercato evento che produce sempre il " tutto esaurito " da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi. Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna. Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>