IL SIGNOR MINESTRONE ALLA GENOVESE
La ricetta mancava sul blog e più volte mi era stata richiesta.
Latitavo a scriverla, sempre perché è una di quelle cose che di casa in casa si fa un po' come si vuole, uno di quei post che avrebbero occupato le mie mattine seguenti alla pubblicazione, con infinite risposte ai conseguenti messaggi tipo: - No! le carote no! - No, il pomodoro no - No, il soffritto no! - No, il cavolo no! - L'acqua chissà ... quella ce la metteremo tutti?
Dimenticando che proprio la parola minestrone è finita nella parlata volgare con il significato di mescolanza di tante cose, in pratica quel che c'è, e al gusto di ognuno il suo.
In realtà si fa arrivare dal latino e significa "servire", servire a una mensa, e quindi letteralmente "pasto servito", e qual'è da sempre, insieme al pane, la cosa più servita al mondo, fino a pochi decenni fa, soprattutto ogni sera, in tutte le case? La minestra, nel caso di tante cose fatte bollire assieme, minestrone.
Cosa differenzia il Minestrone alla Genovese da altri simili?
Essenzialmente due cose: lo spessore, la consistenza misurabile dal famoso cucchiaio che rimane in piedi e la cucchiaiata di pesto a fine cottura.
Pesto fatto apposta, basilico, aglio, olio, formaggi e niente pinoli.
Tralascerei volentieri di mettere giù gli ingredienti, impossibili da quantificare, la stagione giusta del vero minestrone è da fine primavera a tarda estate quando l'orto dà il meglio, quindi patate, zucchini, fagioli, fagiolini, cipolla, sedano, carote, bietole, foglie di cavolo, porro, ecc. Per darvi un'idea della quantità dico solo che la parola preferita quando lo preparavo insieme ad altre donne e imparavo a farlo, è: - meno, meno, poche, poca - perché quello che importa è la varietà. Poco di tutto.
Nessuna minestra ha gusto senza sedano, anzi solo un po' d'acqua con una costa di sedano è già minestra, ma non è minestra senza sedano.
Patate il giusto, che si disfino in cottura, non quelle dure da stufato,
Fagioli, qui anche qualche fagiolana, meglio secchi e ammollati, ma finché ci sono perché non una bella manciata di freschi.
Una cipolla, qualche bel zucchino, anche di quelli che scappano nell'orto e vengono un po' più grossi, poca carota, pochissima bietola (mia madre diceva: - che ci dà il selvatico, ?!?! obiettavo io: - come? se è coltivata ...) qualche foglia, pochissime, di altra verdura, quelle esterne dure dell'insalata, indivia scarola lattuga, foglie tenere ributtate del cavolo cappuccio, un mazzetto di fagiolini, una piccola melanzana, un pezzo di zucca se c'è già, un piccolo pomodoro, un pezzo di porro che ci fa buono...
Una bella lavata veloce e tutto si butta in un pentola di acqua che bolle e dove a freddo si era messa una crosta di Parmigiano Reggiano, che a cottura ultimata, diventata morbida, sarà divisa fra i commensali.
Apro una parentesi sulla crosta di formaggio. Parmigiano Reggiano deve essere, non formaggio o grana qualsiasi. L'unico formaggio del quali si è certi la crosta non abbia subito trattamenti di nessun genere è il Parmigiano.
Si lava, si gratta un po' e si mette nell'acqua con il sale grosso necessario.
L'acqua deve coprire di poco le verdure senza essere troppo abbondante.
Il fuoco all'inizio quasi violento, forte, in pentola scoperta, per far sì che la verdura si spappoli velocemente, certo il fuoco su legna è l'ottimo, per poi proseguire con una cottura più moderata fino a raggiungere la cremosità classica.
Se qualche pezzo rimane ancora troppo grosso, quasi alla fine, basta schiacciare con una forchetta, qui e là.
È il momento della pasta.
Se si mangia immediatamente caldo, vanno bene, come qui in campagna, anche delle specie di taglierini impastati di corsa con sola farina e acqua e spezzati, qui quasi sempre con farina integrale, la famosa Pasta a Vantaggio
o al limite dei ditalini rigati o no.
Ma la vera pasta tradizionale in Liguria sono i Brichetti, brichetto da fiammifero in genovese, (dal francese briquet = accendino) una sorta di spaghetto corto circa due cm, un po' storto, ruvido, di buona semola che regge alla cottura, o ancora meglio per gustare un piatto di minestrone freddo, sempre come usanza vuole, gli Scurcusun o Scucuzzu o Scucuzzun, cilindretti di più o meno quattro millimetri, più grandi del cuscus e più piccoli della fregola sarda, sempre di semola, molto resistenti in cottura che non scuociono assolutamente, adattissimi per gustare il famoso piatto di minestrone freddo, il giorno dopo, quello dove sta il cucchiaio ben ritto in piedi. Quello che si mangiava al mattino, a colazione e giuro ... l'ho gustato anche io così.
Per cuocerli, nel minestrone diventato bello cremoso, non resta che farli bollire pochi minuti e poi a fuoco spento, chiudere con il coperchio e aspettare, altrimenti si attaccherà tutto alla pentola.
Ed ora il pesto.
Solitamente si pesta all'ultimo minuto una manciata di basilico fresco, uno spicchio d'aglio e parmigiano, se c'è poco pecorino, olio, e si aggiunge quando la pasta è cotta, tolto dal fuoco, ancora meglio ognuno nel piatto si mette quel che vuole.
Quanto? Nel pezzo di filmato sotto, estrapolato da "Colpi di Timone" Gilberto Govi spiega la quantità esatta di pesto che serve per un buon Minestrone alla Genovese.
😂😜😂
La diatriba su lardo sì lardo no, battuto d'aglio lardo e prezzemolo o meno, va avanti senza soluzione da anni.
La verità è che nell'entroterra ligure, appena si sale sui monti, non è che il basilico viva benissimo, ai primi freddi non c'è più e una volta niente si conosceva di congelatori.
L'olio, nelle terre dell' Appennino, era prezioso e recuperato solo attraverso le giovani donne che scendevano in riviera per aiutare nella raccolta delle olive e se ne tornavano a casa con quel poco oro liquido con quale venivano pagate.
Quindi in inverno il battuto di lardo sostituiva il pesto, così come non era infrequente la fetta di fungo secco, l' insaporitore nascosto di tutte le ricette liguri.
Non mi resta che scrivere un aneddoto personale, quello dove mi si è svelato l'ultimo particolare per un buon minestrone alla genovese, che non è poi così tanto che ho scoperto.
In casa il minestrone si è sempre fatto, possibilmente sul fuoco della stufa a legna, o da mia nonna nel rumfò.
(qui cosa è il rumfò >>> https://www.lellacanepa.com/single-post/del-rumf%C3%B2-ronf%C3%B2-rumford )
Potrei dire quasi tutte le sere in estate, in campagna, senza stufarsi di mangiarne mai, anzi a fine estate ne facevo quantità importanti, senza pasta, suddiviso in contenitori, veniva conservato in congelatore, per essere tirato fuori e finito con pasta e pesto durante le sere d'inverno.
Improvvisamente non mi è più riuscito di farlo bene, cremoso, spesso, tutt'al più mi veniva una buona minestra di verdura.
La stufa era la stessa, stessa la pentola, la verdura del mio orto, ho persino cambiato fontana da dove prendevo l'acqua ... niente...
Lo sgomento mi prendeva ogni volta che mi accingevo a farlo.
Poi una sera mi fermo a cena da un'amica, la cui mamma è una vera cuciniera genovese, la Angiuletta di Borzone, 87 anni, di quel tempo dove nella famiglie di otto figli era minestra tutte le sere, della quale ho pubblicato già un breve video su I Ripieni https://www.lellacanepa.com/single-post/2018/06/27/i-ripieni
e finalmente riassaporo il minestrone che facevo anche io una volta.
Urge un ripasso con l'Angela, perché da qualche parte qualcosa di sbagliato facevo, e inconsapevolmente. Così prendo appuntamento per un martedì pomeriggio e con qualche verdura mia e qualche verdura sua ci accingiamo a farlo assieme, ma soprattutto per spiare ogni sua mossa.
Intanto di tutta la verdura che avevamo, ribadisco come dicevo sopra, ne ha usato la metà, continuava con: -mênu, mênu, ghe n'emmu za missu basta -
Poi, la svolta.
Io, come mi ero messa a fare negli ultimi anni, in preda forse a una esaltazione da pseudocuoca esperta, ho iniziato a tagliare tutto a quadretti precisi, il più possibile uguali, addirittura a casa usavo la quadrettatrice, la Angiuletta mi ha guardato con sdegno e mi ha detto: - Ma nuu, se ti fé coscì, i nu se desfan mai ciù, lasciali pure a tocchi grossi -
Ecco fatto, ecco il segreto, la mia mania di fare tutti i pezzettini uguali a quadratini, faceva sì che la verdura non si sfaldasse nell'acqua mai più, non permettendo al minestrone di diventare spesso e cremoso.
I tagli invece grossi approssimati, veloci, d'altra parte le donne avevano altro da fare che tutti i giorni i quadretti nella verdura, permettono che questa si sciolga quasi subito, con il bollore forte, e che tutto divenga più digeribile poi con la cottura lunga e moderata .
Alla "sbritte sbra-ita" avrebbe detto mia nonna, locuzione dialettale per significare velocemente, come viene.
Ancora un ricordo, le sere di fine estate, al Maggiolo, sotto la teppia di uva fragola, sul tavolo rotondo che ho io adesso sul terrazzino, i miei zii alzavano una mano, raccoglievano un grappolo maturo e lo spappolavano nel piatto di minestrone, usanze che nessuno fa più ...
Anche questo post, rileggendo, mi sembra un minestrone di parole, di solito cerco di semplificare e scrivere meno possibile.
Mi dilungo ancora un attimo per ricordare a chi lo sa o informare chi non lo sa, che nella mia collezione di Ricette In(F)avolate una delle più carine (a detta di chi le ha ascoltate) è quella della FESTA MINESTRA, appunto dove si narra del minestrone.
Da qualche tempo potete scaricarne e ascoltarne alcune, lette da me, con una piccolissima donazione all'Associazione, a questo link:
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Lella
Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi.
Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna.
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