L'ERBA LISCA
Latito dal blog da un po' di tempo, ma a parte impegni vari, è difficile parlare di erbe abitando in campagna nell'estate più calda e siccitosa che io ricordi, anche se mi capita di trovare sui social inviti a gite di riconoscimento o di raccolta e mi chiedo come sia possibile.
Gli articoli di questo blog nascono dalle mie passeggiate cercando e riconoscendo un'erba, ricordando letture e parole sentite a proposito di questa, esperimenti fatti da sola o con amiche o tradizioni di famiglia di una vita, difficile trarre ispirazione dai prati secchi di questo periodo.
Da tempo però volevo parlare di un'erba che sapevo esistere ma non riuscivo a trovare, un'erba con una storia per me fantastica, il cui utilizzo finirà per essere dimenticato e speravo, per scrivere il post, di riuscire a fare un'intervista con chi ancora poteva ancora raccontare, o chi poteva mostrarmi un manufatto ottenuto da questa pianta.
Ad oggi non l'ho trovato, spero che proprio questo articolo mi porti magari a conoscere qualcuno che la ricorda e che l'ha usata.
Tutto quello che scriverò sarà quindi riportato da articoli letti qui e là.
Ma l'erba sì, quella l'ho trovata!
Nei miei ormai frequenti viaggi dalla Val di Vara a Portofino, sulla strada costiera, nelle pareti scoscese, tra la macchia mediterranea così diversa dalla natura che mi circonda qui, ho finalmente riconosciuto i lunghi ciuffi di "erba lisca".
Ampelodesmos mauritanicus è il nome botanico di questa pianta, che cresce in abbondanza sul monte di Portofino, anche se è frequente in tutte le zone in riva al mare fino all' Africa.
I ciuffi alti fino a due metri, con foglie strette e lunghe anche un metro, taglienti sul margine (altrove è conosciuta come Tagliamani) le spighe ancor più alte, non possono essere confuse con qualcos'altro.
- foto di Actaplantarum -
Sembra impossibile ma attorno a quest'erba fino a pochi decenni fa, fioriva un'intensa attività lavorativa nella baia di San Fruttuoso.
Molti, anche da fuori, venivano a raccogliere quest'erba per conto dei cordai, coloro che, fatta seccare, battuta e filata, la usavano per produrre corde e reti per una particolare pesca a strascico.
Reti che leggere e morbide che resistevano al sale e all'acqua di mare e venivano issate a bordo con più facilità e venivano richieste da tutti i pescatori del Levante Ligure.
Anche i cavi per la Tonnarella di Camogli erano fatti con questa pianta.
Per qualche motivo che mi è sconosciuto, visto che comunque non è un'erba così difficile a crescere e a propagarsi, basterebbe un'oculata conservazione e raccolta, è adesso tutelata e le poche corde ancora prodotte a San Fruttuoso sono fatte con fibra di cocco che arriva da lontano, di solito dall'India.
Il resto è tutto nylon, dimenticando come una fibra naturale sia completamente biodegradabile.
Con la sospensione della raccolta è scomparsa completamente l'attività dei cordai, una volta fiorente in Liguria in tutti i paesi costieri, che usando anche altre fibre vegetali come canapa, lino ecc. provvedevano per la richiesta di tutti i tipi di cavi, anche grossi, per navi di una certa importanza.
Nel video sotto viene raccontata un po' la storia di questi personaggi, mostrato come si fanno le corde, anche se mi piacerebbe riuscire a conoscere qualche pescatore o poter fotografare se ancor esiste, una rete fatta con la lisca.
In questi anni non sono riuscita a trovare nemmeno nessuno che ricordasse la pianta, così le notizie scritte sopra sono prese da questo articolo:
La strada stretta e l'impossibilità a fermarmi mi ha impedito di fare fotografie dettagliate, ma dovrò fare una passeggiata nel Parco di Portofino o sopra Sestri Levante dove so essere presente, per documentarmi e osservarla meglio.
Continuando a leggere qui e là ho scoperto che la pianta era anche usata per costruire il fondo dei setacci per la semola e gli steli delle sue spighe per fare le "busiate" un tipo di pasta fresca in uso fra Sicilia e Calabria simile ai fusilli fatti con il ferretto.
Busiate da Buso, cioè lo stelo della Disa, nome dato all' erba lisca in quelle zone.
Le Busiate sono ottime con il Pesto alla Trapanese, che la storia suggerisce essere una derivazione di quello portato in Sicilia dai Genovesi, quando al ritorno dai viaggi in Estremo Oriente, attraccavano al porto di Trapani e si mettevano a fare il loro pesto di basilico e aglio.
I siciliani poi trasformarono “l’agghia pistata” vista fare, aggiungendo mandorle e pomodorini, con un'interazione fra culture e sapori che mi fa sempre sorridere quando sento inneggiare al "solo noi, solo qui, solo così".
Un valore così grande come la capacità tutta italiana di cambiare gusto e pietanza di casa in casa con spesso gli stessi tre ingredienti, invece di essere portata in palmo di mano, viene invece sovente demonizzata.
Basta uscire dai propri ristretti confini, a volte solo mentali, per poter gustare piatti incredibili che magari sono frutto semplicemente di un incontro con un nostro lontano parente, che è passato un giorno, tanto tempo fa, di lì.
Mi scuso per la divagazione e provo a fare le busiate e mi perdoneranno siciliani e calabresi se sono venute come sono venute.
Avrei fatto meglio a imparare quando, durante il mio soggiorno in Puglia voleva insegnarmele la vicina che aveva imparato dalla suocera messinese!
Dunque servono
Acqua tiepida e farina, io preferisco sempre farina di semola o se non si trova semola rimacinata, ma va bene anche 00
Un impasto non troppo morbido, lasciato riposare un pochino, meglio coperto in frigorifero.
Da piccole porzioni di impasto lavorate a cilindri di circa 4 mm.di spessore, taglio dei pezzi di 6-7 cm.
Con uno stecchino di bambù, perché non sono riuscita a raccogliere una spiga di lisca, mettendolo ad angolo cerco di avvolgere la pasta creando una spirale.
Ruotando con due mani il bastoncino sulla spianatoia la pasta si allargherà permettendo di staccarla.
Non è stato facilissimo all'inizio e le mie busiate sono suscettibili di miglioramento, ho seguito un tutorial su you tube e mi sento di consigliare a chi volesse provare:
Serve la spianatoia di legno, altrimenti non scivola la pasta
Bisogna indovinare la misura giusta di lunghezza e dimensione della pasta e la consistenza dell'impasto, troppo morbido si attacca al bastoncino.
Per qualche motivo che mi è rimasto sconosciuto la pasta all'inizio mi rimaneva ammucchiata, facendole sembrava mi venissero sempre meglio, certo serve ancora tanto esercizio.
Ho seguito questo tutorial:
Lasciate asciugare le ho cotte e condite con il pesto trapanese.
Anche per questo ho sbagliato qualcosa, poco basilico ed è venuto un po' troppo rosso con il pomodoro che spiccava come gusto.
Per farlo ho usato:
un mazzetto di basilico ma ne servivano decisamente due
250gr. di pomodori di Pachino
50gr. di mandorle pelate
uno spicchio di aglio
50gr. di pecorino
sale e olio quanto basta
Andrebbe pestato al mortaio ma con un giro di frullatore si fa sicuramente prima.
Le abbiamo comunque gustate e sono pronta per correggere gli errori la prossima volta, in attesa, chissà, di poterle assaggiare in bel viaggio al sud che oramai sogno anche di notte.
- Quannu a pasta è ‘nta pignata, ci voli ‘a tavula cunzata -
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Lella
Lella Canepa, creatrice di "Donne da Ieri a Oggi" una fantastica mostra poi tradotta in un libro e di "Erbando" un ricercato evento che produce sempre il "tutto esaurito" da subito, anch'esso tradotto in un manuale dove si impara a conoscere e raccogliere le erbe selvatiche commestibili come facevano i nostri avi.
Lella Canepa ama da sempre tutto ciò che è spontaneo, semplice e naturale e coltiva da anni la passione per tutto quello che circonda il mondo manuale del femminile. tramandato per generazioni da sua mamma, sua nonna e la sua bisnonna.
Se vuoi, puoi metterti in contatto con Lella qui>>
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